
27/01/2018 - Relazione Presidente Corte Appello Anno Giudiziario - Anno 2018
PREMESSA
Il mio deferente saluto al Signor Presidente della Repubblica, supremo garante dei valori costituzionali, e a tutte le autorità qui presenti politiche, civili, militari e religiose, ai magistrati togati ed onorari, agli avvocati, al personale amministrativo, ai giornalisti ed agli ospiti tutti.
Mi permetterete di premettere l’orgoglio per poter celebrare per la prima volta l’Anno Giudiziario in questa aula nata come polifunzionale e che abbiamo trasformato facendo sì di rimediare all’assenza in questo Palazzo, per altri versi adeguato, di un’Aula Magna ricomprendendo anche questa destinazione in quella dizione di “polifunzionale”. Aula che abbiamo dedicato ed intestato alla Presidente Campanato per far sì che il suo esempio e la sua memoria si solidifichino e non passino.
La Relazione sullo stato della giustizia deve rappresentare un momento di bilancio che consenta din analizzare il generale andamento degli uffici giudiziari, i successi ed i limiti, oltre che di renderne conto alla collettività in cui opera.
L’AFFERMAZIONE DELLA LEGALITÀ: DUE PROCESSI e DUE ESEMPI
Se questo è lo scopo credo che dobbiamo mettere in prima pagina nel bilancio di quest’anno due eventi che al di là della cronaca hanno segnato il nostro anno giudiziario e che sia pure con problemi e limiti hanno segnato una forte affermazione di legalità di cui ogni cittadino dovrebbe essere fiero.
Il 20 giugno 2017 la Corte di Cassazione ha detto la parola fine al processo per la strage di Piazza della Loggia condannando Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte. Ed il 19 dicembre Maurizio Tramonte è stato estradato in Italia per scontare la sua pena. Non si tratta di spirito di vendetta nei confronti di persone che hanno commesso, sia pure in anni ormai lontani, crimini gravissimi. Anzi siamo convinti che anche nei loro confronti deve avere piena e totale attuazione l’art 27 comma 3 della Costituzione con il rispetto della dignità e del senso di umanità e la tensione verso la rieducazione ed il recupero. Ma questa sentenza definitiva è un simbolo: l’affermazione della legge, della fatica di tanti magistrati e uomini e donne che hanno cercato di far luce su di un delitto orrendo che ha segnato questa città e di cui giustamente occorre serbare memoria e farla serbare alle giovani generazioni nate anni e decenni dopo. E se fa specie vedere la distanza di oltre quaranta anni da quei fatti che risalgono al 1974, non dobbiamo mai dimenticare che le indagini su queste stragi sono state per lungo tempo ostacolate, rallentate, depistate da pezzi di corpi dello Stato infedeli che spesso hanno impedito di arrivare a far coincidere quella che ormai è ritenuta verità storica con la verità giudiziaria. Esserci riusciti, sia pure dopo tanti anni, per Brescia è un successo.
Il 21 settembre 2017 dopo oltre un anno e mezzo di dibattimento 66 udienze dibattimentali e l’audizione di oltre cento testimoni, si è concluso con la sentenza di primo grado il processo Pesci a carico di 16 persone con accuse che riguardavano tra l’altro l’appartenenza alla “Ndrangheta”. Si tratta di posizioni, sia per le condanne che per le assoluzioni, ancora al vaglio delle competenti Autorità Giudiziarie, ed ovviamente su questo si pronunceranno in termini definitivi le Corti competenti, ma la stessa celebrazione di questo processo è stato un successo avendo imposto il superamento di non trascurabili problematiche di natura organizzativa e funzionale, in ragione della singolarità del processo dovuta da un lato alla natura, all’articolazione e alla gravità degli addebiti, e dall’altro alla necessità di procedere all’escussione di vari collaboratori di giustizia sottoposti a programmi di protezione e dall’essere vari imputati ed anche alcuni testimoni sottoposti a regime detentivo speciale ai sensi dell’art. 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario. La particolarità e complessità del processo ha imposto di disporne la celebrazione fuori sede presso il Palazzo di Giustizia di Brescia, non essendo dotata la sede di Mantova delle necessarie dotazioni tecniche. L’altra particolarità è data proprio dalla tipologia dell’accusa, relativa alla ipotesi di sussistenza e di operatività in territorio mantovano di un’organizzazione di tipo ‘ndranghetista’ legata ad un clan. Processo collegato ad altri analoghi dibattimenti in corso a Catanzaro e a Reggio Emilia. Il processo, al di là dell’esito, ancora sub iudice, ripropone ipotesi che fino a qualche anno fa sembravano fuori dalla realtà, sulla possibile presenza di infiltrazione mafiosa in un territorio che si credeva immune ed estraneo a questi pericoli dell’infiltrazione mafiosa. L’esperienza, anche di altri processi già celebrati in sedi vicine, dimostra invece la tendenza della ‘ndrangheta ad estendersi al di fuori del territorio di origine e ad allignare nelle aree più ricche del paese, una volta ritenute refrattarie, ma in realtà estremamente vulnerabili. Al di là dell’esito che avrà questo come altri processi ad esso collegati in corso, l’atteggiamento di cieca sottovalutazione del pericolo di insediamento mafioso al Nord, pur a fronte di conclamati indici di allarme e di inquietanti ed inequivoci messaggi, non può in alcun modo perdurare ed occorre la massima attenzione e vigilanza in primis culturale e preventiva. Un processo importante che merita tutta la nostra attenzione ed uno dei pochi processi relativi ad una contestata presenza della ‘ndrangheta celebrati nel Nord Italia.
La legalità ha le sue vittorie e ne sono partecipi le città di Brescia, di Mantova, e questa parte della Lombardia.