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Cerimoniale Anno Giudiziario 2022

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22/01/2022 - Relazione Presidente Corte d'Appello di Brescia Anno Giudiziario - Anno 2022

 

PREMESSA


Il mio saluto al Signor Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che dobbiamo ringraziare per avere incarnato in questi sette anni l’unità nazionale e per essere sempre stato, anche nei momenti più difficili e bui, sia per il paese che per la magistratura, un punto di riferimento sicuro ed un vero ed autorevole capo dello Stato.

Ringrazio per la loro partecipazione in presenza o da remoto dalle sedi di Bergamo, Cremona e Mantova, tutte le autorità politiche, civili, militari e religiose, i magistrati togati ed onorari, gli avvocati, i dirigenti, il personale amministrativo, i giornalisti, e i cittadini che ci seguono in questa diretta televisiva.


PANDEMIA, GIUSTIZIA E PNRR


Indubbiamente sono due i grandi temi con cui ci confrontiamo nel mondo della Giustizia. Da un lato quello generale della pandemia che ormai da quasi due anni sta pesantemente condizionando le nostre vite e la nostra attività. Per il nostro piccolo, nell’ambito giudiziario posso affermare che, pur trovandoci nel distretto originariamente più colpito dal virus, abbiamo affrontato e stiamo affrontando le difficoltà e gli inevitabili rischi che derivano
dal cercare di continuare comunque il nostro lavoro con serietà e decisione, accompagnando un alto livello di precauzioni ( che vuol dire mascherine, distanziamento individuale, sanificazioni periodiche, udienze da remoto o con trattazione scritta) con la ferrea determinazione di proseguire in modo ordinario nella nostra attività senza cedimenti e diminuzioni. E posso assicurare tutti, a partire dagli avvocati e dagli operatori della giustizia per arrivare ai cittadini, che faremo di tutto per continuare ad assicurare il pieno dispiegamento del nostro lavoro in sicurezza, senza interruzioni e ritardi. E’ interesse di tutti, di chi vive con e grazie al nostro lavoro, dei cittadini che aspettano giustizia, ma innanzitutto nostro per il servizio che rendiamo e per l’immagine che vogliamo avere.

Il secondo punto, quello su cui inevitabilmente si incentrerà larga parte di questa relazione, riguarda il PNRR, gli obiettivi che vengono formulati per la giustizia e come li articoleremo e cercheremo di raggiungerli nel nostro distretto.

Quella che abbiamo di fronte non è solo una necessità per la crescita economica e per la credibilità dell’Italia sui mercati, ma un’occasione storica per la giustizia che per la prima volta dopo decenni si trova a non dover far fronte ad un’assenza di investimenti e può cercare di azzerare quell’arretrato che è stata ed è la zavorra che ha appesantito e ritardato il funzionamento della nostra giustizia.

Ma per arrivare ad una corretta impostazione dei progetti in corso nella giustizia per il PNRR, evitando facili apologie correnti, occorre superare diversi luoghi comuni che caratterizzano il nostro dibattito pubblico sulla giustizia e individuare ex ante quali sono i pericoli ed i messaggi insidiosi che lanciano anche il PNRR ed il modo in cui è stato articolato.

Occorre spazzare il terreno dai dati più impressionistici e superficiali (la durata media dei processi, le pendenze), per approfondire l’evoluzione che la giustizia ha avuto in questi anni, le ragioni delle diversità territoriali, le variabili che incidono e quelle indifferenti alle performance dei diversi uffici.

La giustizia non è all’anno zero.

Le pendenze negli ultimi dieci anni sono fortemente diminuite, in particolare nel settore civile: in quasi tutti gli uffici di merito l’indice di ricambio ogni anno è superiore ad 1, ovvero viene definito più di quello che sopravviene. Dal rapporto periodico che il CEPEJ1 pubblica ogni due anni di comparazione tra i vari sistemi europei risulta che il clearance rate, ovvero il rapporto tra sopravvenuti e definiti che dà un’indicazione sulla capacità di definizione da parte di un ufficio o sistema giudiziario, in Italia nel settore civile è stato il 118 % nel 2010, il 131% nel 2012, il 119% nel 2014, il 113 % nel 2016 ed il 103 % nel 2018,2 quando la media europea è sempre coincidente o prossima a 100. Mentre nel settore penale l’indice è sempre prossimo a 100: 95 % nel 2010, 94 % nel 2012, 94 % nel 2014, 107 % nel 2016, 98% nel 20183. Risultati molto positivi che comunque scontano l’esistenza di un forte arretrato. E’ difatti l’arretrato, originariamente formatosi prima del 2010, il macigno che ci accompagna e che condiziona sia il nostro lavoro, sia i risultati sulla durata, in apparenza sempre insoddisfacenti, ma che in realtà scontano la definizione di cause datate che con i loro tempi lunghi (la durata viene infatti calcolata solo al momento in cui un processo viene definito) alterano ogni computo. Per questo un intervento straordinario e mirato anche temporaneo sull’arretrato può rivelarsi preziosissimo e determinante liberando le risorse della giustizia e consentendo di lavorare sul corrente innescando un processo virtuoso che limita le sopravvenienze dilatorie e fornisce risposte in tempi ragionevoli.

Come pure è falsa la vulgata secondo cui tempi e arretrato dipendono dalla scarsa laboriosità dei magistrati e/o del personale o da una generale disorganizzazione degli uffici giudiziari. Il livello di produttività degli uffici è buono, come i dati del CEPEJ dimostrano. E questo non riguarda solo i magistrati, ma il complessivo lavoro svolto da tutti i componenti delle sezioni, delle cancellerie e delle segreterie, perché anche la decisione, la sua pubblicazione ed
esecuzione non è un prodotto del magistrato, ma il frutto di un lavoro collettivo in cui ciascuno, sia esso operatore, assistente, cancelliere, funzionario, direttore amministrativo, dirigente, magistrato mette il suo indispensabile tassello.

Il problema semmai è di organizzazione e di contesto ambientale, come dimostrano i dati relativi alle profonde diversità di performance tra i vari Uffici Giudiziari (nel settore civile andiamo dai 162 giorni di disposition time ad Aosta ai 939 di Patti). E queste differenze non dipendono dall’allocazione delle risorse, ma dal complessivo contesto ambientale (che comprende funzionamento della Pubblica Amministrazione, capitale sociale, collaborazione del territorio), dal turn over di magistrati e personale, dalle leadership esistenti. Uno degli scopi che dovrebbe avere il PNRR è proprio quello di appianare o perlomeno di avvicinare queste differenze, evitando quella realtà a macchia di leopardo che tuttora viviamo e che anzi gli investimenti del PNRR, in assenza di un forte gruppo guida rischiano di esaltare. Le cautele che invece occorre avere riguardano anzitutto il percorso con cui sono stati individuati gli obiettivi ed il messaggio culturale insito. Gli obiettivi sono il frutto di un serrato confronto avutosi tra la Commissione Europea ed il Governo italiano ed hanno il grave deficit di non avere coinvolto in alcun modo né gli uffici giudiziari, né l’avvocatura per partire da un quadro della situazione, per un esame di fattibilità e per identificare gli strumenti. Ora per senso istituzionale e per dovere di collaborazione questi obiettivi diventano inevitabilmente i nostri obiettivi, e cercheremo di utilizzare nel modo migliore possibile gli strumenti che ci vengono dati, ma senza dimenticare che questa non è stata una nostra scelta e che il complesso degli interventi normativi, organizzativi e finanziari poteva essere molto più coraggioso e ardito. Non si è inciso in alcun modo su di una governance tuttora solo centralizzata in particolare in un Ministero della Giustizia ed in parte in un C.S.M. privi della stessa possibilità, oltre che delle risorse per incidere sugli uffici giudiziari che avvertono un’evidente lontananza dal centro, al di là di singoli apprezzabili tentativi di creare canali di comunicazione e condivisione. Si è rinunciato in questo modo per timidezza riformatrice, ma anche per il timore di perdere posizioni di potere, di poter beneficiare dell’apporto, delle capacità e delle intelligenze degli uffici giudiziari e dell’avvocatura e più in generale dei territori. Inoltre non è per nulla chiaro quale sarà il percorso della digitalizzazione dei nostri sistemi. Certo si parla di reingegnerizzare il Processo Civile Telematico e di realizzare (finalmente) il Processo Penale Telematico, ma digitalizzare deve voler dire molto di più, un complessivo ripensamento delle modalità di azione e gestione che spazia dalla conduzione edilizia dei Palazzi di Giustizia, al controllo di gestione, dal monitoraggio costante dell’andamento delle diverse sezioni (compresi gli esiti e le impugnazioni) a focus su singoli settori, dalle banche dati giurisprudenziali fino a strumenti di supporto per la stesura di atti di magistrati, avvocati, funzionari. Sappiamo che ci sono fondi investiti, ma ben poco sappiamo circa progetti, priorità e tempi. Una mancanza di confronto e trasparenza davvero allarmante, specie in un Ministero che nel campo strategico dell’informatizzazione ci ha abituato a tempi incompatibili con la modernità. Anche il messaggio insito nel PNRR sulla giustizia è pericoloso o quanto meno parziale. Ancora una volta gli unici elementi rilevanti sono numeri e tempi, con quello che ormai è diventato un fattore che condiziona l’intera giurisdizione perché si tratta di un messaggio sociale fortissimo che anche i magistrati hanno ormai introiettato nel profondo. Ovviamente la produttività ed i tempi sono elementi fondamentali che non possono essere trascurati, come si è colpevolmente fatto per lungo tempo, ma la giustizia non può essere ridotta a questo, dovendosi badare anche alla qualità, ovvero alla capacità di dare una risposta adeguata e alta alla domanda di giustizia. Il che vuol dire produrre decisioni motivate, scegliere le opzioni “giuste” e non quelle più facili, svolgere istruttoria quando necessario, aspettare se la situazione lo impone, dare provvedimenti che reggano anche nei successivi gradi di giudizio, argomentare in modo convincente e comprensibile per spiegare alle parti le ragioni delle proprie decisioni. E’ chiaro che misurare la qualità di una decisione giudiziaria è impossibile potendosi utilizzare al riguardo solo indici approssimativi ed a volte traditori (quali il tasso di impugnazioni e di resistenza dei provvedimenti), mentre il numero delle definizioni ed i tempi di durata sono immediatamente misurabili e percepibili, ma lo sforzo che occorre fare, e da subito, è di mantenere uniti quantità e qualità, perché perderla oggi vuol dire perderla per sempre. Ed anche perché la giustizia italiana non deve perdere un livello di serietà e di approfondimento che rappresenta una conquista estremamente positiva da non perdere.

Questa attenzione dovrà accompagnare tutto il nostro lavoro di indirizzamento degli strumentim del PNRR sulla giustizia.

 

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